Intervista al prof. Enrico Facco

Intervista al prof. Enrico Facco

Incontriamo oggi il Prof. Enrico Facco, professore di Anestesiologia e Rianimazione presso l'Università di Padova; è inoltre specialista in Neurologia ed esperto di terapia del dolore, agopuntura e ipnosi clinica e ha condotto numerose ricerche sul coma, sullo stato vegetativo persistente, sulla morte cerebrale. È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche nonché relatore di numerosi congressi scientifici in Italia e all'estero.

L'ultima fatica del Prof. Facco è un appassionante saggio dal titolo Esperienze di premorte. Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica.

Leggendo il libro si riscopre il sapore di un medico che uscendo dagli schemi tecnologico/scientifici imposti recupera l'uomo nella sua interezza, corpo e psiche. Come è nato questo tuo interesse?

Fin dagli anni ottanta svolgevo la mia attività professionale in terapia intensiva neurochirurgica occupandomi dell'aspetto neurofisiologico della morte cerebrale. E mi sorgevano costantemente domande sull'ancora misteriosa relazione tra mente e corpo, sul confine della vita, sullo iato esistente tra la condizione di morente e di cadavere non appena concluso il processo del morire.

Entriamo nel vivo dell'argomento, cosa intendi per NDE (Near-Death Experiences)?

Sono esperienze soggettive che avvengono in condizioni critiche, in pericolo di vita. Tali esperienze sono caratterizzate dalla netta percezione di essere in una dimensione diversa da quella della vita terrena, di aver abbandonato il corpo ed oltrepassato il limite della dimensione spazio-tempo.

A quando risalgono le prime testimonianze del NDE?

Le prime esperienze riportate nella medicina moderna risalgono all'inizio del XX secolo, ma la loro forte tonalità parapsicologica non ha certo favorito lo studio del fenomeno, facendole apparire incompatibili con il modello biologico dominante e quindi prive di qualsiasi interesse scientifico. Ma già negli anni '70 si sono cominciati a studiare questi fenomeni con metodologie cliniche rigorose.

Nel tuo saggio sono riportati una ventina di casi. Dall'analisi siamo in grado di riconoscere un comune denominatore?

Si possono individuare una serie di elementi comuni che prescindono dal credo religioso, dalla cultura, dalla zona geografica di provenienza. Alcuni di questi elementi sono:l'out of Body Experience (OBE), intesa come l'esperienza di trovarsi in prossimità del soffitto della stanza, o sopra la barella, il letto di degenza, il letto operatorio, e poter osservare dal di fuori il proprio corpo privo di coscienza e ciò che accade nell'ambiente;l'esperienza di essere in un tunnel, attraversato a velocità più o meno sostenuta. Il tunnel può rappresentarsi in una varietà di forme diverse, come un tunnel buio o con una luce in fondo o attorno, o con fregi architettonici all'ingresso;la visione di una luce, non artificiale, ma trascendente, con caratteristiche non naturali;l'incontro con parenti defunti o entità superiori con cui si ha una comunicazione telepatica.

Ma ci sono farmaci o droghe capaci di produrre alterazioni psichiche caratteristiche del NDE?

Sicuramente le esperienze indotte da alcuni farmaci come la ketamina e gli allucinogeni in generale hanno elementi comuni a quelli delle NDE ma sono tutt'altro che coincidenti. Non si può ridurre ad un unico neurotrasmettitore la causa di un fenomeno ricco, complesso e di contenuto coerente come le NDE. È più verosimile che le NDE non dipendano da un solo neurotrasmettitore  ma da una complessa interazione di aree cerebrali diverse. Inoltre il contenuto delle esperienze da allucinogeni è molto variabile e dipende dalla personalità, dagli scopi dell'assunzione, dal contesto e dalla ritualità. Quindi il ruolo della psiche nella genesi dei contenuti e del significato delle NDE è tutt'altro che secondario ed esse non possono essere ridotte a mero epifenomeno di alterazioni neurochimiche né di disfunzioni cerebrali.

Ritornando ai casi clinici, hai osservato poi un differente approccio alla vita nei soggetti che hanno avuto questo tipo di esperienze, riconducibili ad un filo comune?

In effetti dall'analisi dei casi si riscontra un adattamento positivo alla vita, una nuova consapevolezza e il superamento della paura della morte, che viene rielaborata e vista come un momento di passaggio.

Credi quindi che ci sia una vita oltre la morte?

Questo è il quesito fondamentale e il grande mistero della condizione umana, che non posso certo risolvere io. Qualsiasi certezza, comprese quelle di matrice atea, è espressione di fede, perché non sostenuta (né potrebbe esserlo) da dimostrazioni scientifiche; non per questo il problema è meno rilevante e meno concreto di quelli tradizionalmente oggetto di interesse delle scienze galileiane, perché la morte, benché usualmente scotomizzata, è l'unico fatto certo e il più concreto del futuro di ogni individuo. Credo che ognuno di noi debba cercare dentro di sé la risposta, ma è forse giunto il momento di riconsiderare i fondamenti epistemologici del nostro pensiero ancora fortemente ancorato alla fisica del XIX secolo, alla logica aristotelica, al radicale dualismo di origine cartesiana e ad un fallace realismo naif  (il cui concetto di obiettività è molto più soggettivo di quanto comunemente non si pensi). Un approccio solo meccanicistico e riduzionistico, non sembra più sufficiente a comprendere la relazione mente-cervello-corpo-realtà, né, in medicina, a prendersi cura del paziente.

Bollettino dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Padova

a cura di Ferruccio Berto Consigliere – Componente CAO

 

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