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Non chiamatela solo H2O

Non chiamatela solo H2O

Non chiamatela solo H2O

L'errore di considerare l'acqua una pura risorsa da sfruttare la disconnette dalle relazioni sociali e non genera più efficienza.

«Che l’acqua sia H2O — scrive Maurizio Ferraris nel Manifesto del nuovo realismo (Laterza) — è del tutto indipendente dalla mia conoscenza, tant’è che l’acqua era H2O anche prima della nascita della chimica, e lo sarebbe anche se tutti noi scomparissimo dalla faccia della terra. Soprattutto, per quanto riguarda l’esperienza non scientifica, l’acqua bagna e il fuoco scotta, indipendentemente da linguaggi, schemi e categorie». Il recente libro di Mauro Van Aken La diversità delle acque. Antropologia di un bene molto comune (Edizioni Altravista) può essere considerato come una lunga, dettagliata e puntuale confutazione della tesi ontologica sull’acqua proposta da Ferraris.

Certo, anche le acque che Van Aken ha studiato presso i popoli della valle del Giordano, così come quelle dei palù veneti indagate da Nadia Breda, nell’articolo Antropologia dell’acqua sulla rivista «La ricerca folklorica» (2005), bagnano, dissetano o irrigano i campi. E tuttavia, dagli studi di questi antropologi italiani emergono acque diverse da quella H2O di cui si sono impadroniti la scienza, la tecnica e i processi di sviluppo moderni, che, come osservava Ivan Illich (H2O e le acque dell’oblio, Umbertide Macro Edizioni), hanno trasformato questo liquido essenziale alla vita in quella roba che esce, come per miracolo, dal rubinetto.

La «missione idraulica», vale a dire il controllo sull’acqua intesa solo come risorsa da gestire e sfruttare con modalità valide ovunque (dighe, canali, condotte pressurizzate), da misurare in termini rigidamente quantitativi, da incanalare, nascondere e fruire privatamente, insomma la trasformazione delle acque nell’universale H2O è parte integrante della modernizzazione. Nello stesso Occidente, le sorgenti, i lavatoi, le fontane, i sistemi tradizionali di distribuzione dell’acqua a uso agricolo hanno progressivamente lasciato spazio a forme e saperi tecnici e centralizzati.

Recensione a cura di: Adriano Favole

Corriere della Sera|Il Club de La Lettura

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