Iscriviti e restiamo in contatto!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sulle ultime uscite

“Esperienze di premorte” Intervista al Prof. Enrico Facco

“Esperienze di premorte” Intervista al Prof. Enrico Facco

Il 15 settembre scorso, nell’Aula Magna del Tito Livio, si è tenuta una interessantissima conferenza che ha riscosso un grande successo. In veste di oratore, Enrico Facco, Professore di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università di Padova; è inoltre specialista in Neurologia ed esperto di terapia del dolore, agopuntura ed ipnosi clinica e autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, molte delle quali sul coma, sullo stato vegetativo persistente, sulla morte cerebrale. Come se non bastasse, conoscendolo personalmente da parecchi anni, mi permetto di aggiungere che ritengo sia una delle menti più brillanti e geniali della nostra Facoltà medica.

Il suo ultimo libro, Esperienze di premorte. Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica, oltre ad essere un’approfondita trattazione di quell’insieme di esperienze che precedono la nostra dipartita, è spunto di riflessione su quegli aspetti filosofici e metafisici che racchiudono il significato ultimo e vero della nostra esistenza. Questa brevissima intervista è solo assaggio di quanto si è discusso nella conferenza e di quanto si trova nel libro. Speriamo di riuscire ad organizzare, per la prossima primavera, un weekend del pensiero, in cui poter approfondire queste tematiche.

Carissimo Professore, leggendo il Suo libro ed ascoltandoLa ci si ritrova a ragionare sui valori più elevati e trascendentali della mente. Pensa sia possibile la rinascita di una Medicina che non sia basata sulla radicale separazione cartesiana della mente dal corpo? Se sì, in che modo?

Penso che sia non solo possibile ma necessario e qualche elemento comincia a delinearsi all’orizzonte. In primo luogo si deve considerare che le scienze galileiane, quindi anche la medicina moderna, sono nate da una situazione di conflitto con l’Inquisizione e non da una riflessione epistemologica libera. La psiche e l’anima, competenza della teologia, sono state escluse a priori dal campo della scienza per secoli: l’osservatore è stato quindi rigidamente separato dal fenomeno osservato e la psiche dal corpo, ma questo paradigma è stato messo in crisi dalla stessa fisica del XX secolo. In ambito neurologico si sta manifestando nell’ultimo decennio un’insoddisfazione crescente per la visione tradizionale ancora prevalente, di matrice fisicalista e riduzionista, e sta emergendo la necessità di ricomprendere nella scienza il mondo della soggettività: è oggi presente nella letteratura scientifica internazionale un numero crescente di ricerche autorevoli sulla neurologia della coscienza, dell’autocoscienza, dell’ipnosi, della meditazione, delle esperienze di premorte e in generale delle attività della mente fondamentali, relegate alla filosofia fino al secolo scorso.

Veniamo ora al tema del Suo libro, le esperienze di premorte (NDE). Potrebbe spiegarci brevemente in cosa consistono?

Le NDE sono esperienze soggettive intense e profonde di aspetto trascendente che si verificano in condizioni critiche associate a perdita di coscienza (quali arresto cardiaco, traumi cranici e politraumi, stati di shock) e caratterizzate dalla netta percezione di essere in una dimensione diversa da quella ordinaria della vita terrena, di avere abbandonato il corpo fisico ed oltrepassato i limiti del proprio io e della dimensione spazio-temporale del mondo fisico ordinario. I contenuti delle NDE possono essere così sintetizzati: a) percezione di una luce e/o di una voce con caratteristiche non naturali; b) sensazione di grande pace e tranquillità; c) attraversamento di un tunnel, con o senza luce alla sua fine; d) fuoriuscita dal proprio corpo (Out of Body Experience, OBE), spesso associata alla visione dall’esterno del proprio corpo giacente inanimato; e) incontro di altri esseri, spesso persone care decedute o, a volte, Entità, Spiriti o Esseri di Luce, spesso indefiniti; f) revisione panoramica della propria vita; g) percezione di un limite, che impedisce di proseguire il viaggio e porta il paziente a rientrare nel proprio corpo; h) sentimento di disagio alla ripresa della coscienza ordinaria e non di rado rimpianto per la condizione di grande serenità vissuta durante la NDE.

Tra i casi da Lei analizzati, vi è la predominanza di un certo genere di soggetti rispetto ad altri (per esempio donneuomini; credenti-atei)?

Le NDE sono relativamente frequenti, con un’incidenza che nell’arresto cardiaco oscilla tra il 10 e il 18%, e hanno una chiara epidemiologia e caratteristiche cliniche precise, quindi sono fenomeno studiabile con il metodo scientifico. Sono esperienze universali, i cui elementi essenziali sono costanti in tutte le culture, mentre possono esservi differenze in elementi per lo più secondari. Non vi sono grossolane differenze relative al genere, ma c’è una incidenza lievemente superiore nelle donne e inferiore nelle persone anziane; esse prescindono inoltre dalle convinzioni filosofiche e religiose precedenti all’insulto e talora contrastano con esse.

Nei soggetti che hanno avuto esperienze di premorte, vi è poi un differente approccio alla vita?

L’aspetto interessante è che, pur essendo collegate a eventi traumatizzanti, spesso con pericolo di vita, esse non solo non danno generalmente origine a disordini post-traumatici da stress, ma portano ad un migliore adattamento con la vita e al superamento della paura della morte.

A Suo parere, vi può essere qualche analogia tra esperienze di premorte e sogno?

Assolutamente no: le esperienze di premorte hanno un linguaggio e contenuti totalmente diversi da quelli del sogno, come anche dei fenomeni allucinatori e di delirium prodotti da lesioni organiche, da tossici o da farmaci. Esse si caratterizzano infatti per la lucidità, la coerenza e chiarezza del racconto, la loro costanza e universalità, l’essere chiaramente ricordate come esperienze di assoluta consapevolezza, anche superiore a quella delle condizioni ordinarie.

Durante la Sua conferenza, osservando un oggetto rosso, ha stuzzicato la nostra mente invitandoci a pensare in che cosa consistesse l'idea di "rossità" nel nostro cervello. Lei che idea si è fatto? E' solo questione di neurotrasmettitori?

Il problema è quello dei cosiddetti  qualia, ovvero gli elementi dell’esperienza, problema che non solo non ha ancora trovato una chiara spiegazione scientifica, ma non sembra nemmeno indagabile, almeno nel modo classico. E’ il dilemma della relazione mente-cervello, ancora irrisolto: come dice David Chalmers, non è infatti chiaro come quella sorta di budino untuoso e grigiastro del peso di circa 1400 g (il cervello) possa tradurre attività elettrica e neurotrasmettitori in qualia, pensieri, esperienze e nelle attività più elevate della mente umana, come la musica, l’arte, la poesia, la stessa scienza, manifestazioni che, inoltre, mi sembra si collochino ben oltre le necessità imposte dall’adattamento all’ambiente e dalla selezione naturale.

Le domande sarebbero tante, ed ogni risposta richiederebbe pagine su pagine di trattazione. Sarebbe disponibile ad accompagnarci in un weekend del pensiero, per approfondire insieme la materia?

Con grande piacere. L’unica mia certezza è che la realtà è diversa e molto più ampia rispetto a come la codifichiamo e questo risulta evidente dalla storia dell’umanità compresa quella della scienza stessa. Come afferma Ibn ‘Arabi, grande mistico Sufi del XIII secolo, percepiamo la realtà con gli organi di senso e con la nostra mente, quindi disponiamo solo delle immagini mentali della realtà (composte di qualia…); anche gli strumenti della scienza sono solo prolungamenti degli organi di senso. La realtà è quindi immaginazione e la conoscenza è immaginazione nell’immaginazione. Immaginazione non vuol dire qui fantasia priva di relazione con la realtà, ma solo che l’idea di poter conoscere la realtà in sé è più illusoria che reale e che la cosiddetta oggettività rimane per lo più entro i limiti della soggettività condivisa. Questa mi sembra una buona base da cui partire per muoversi alla ricerca di una conoscenza un po’ meno egocentrica, antropocentrica ed etnocentrica di quella finora acquisita.

Gli Amici del Tito Livio - Cultura & Incontri

Intervista a cura di Alessandro Zanella

Vedi articolo originale »»»

 

Vai alla scheda del libro