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L'eptalogo dell'antropologo professionista

L'eptalogo dell'antropologo professionista

Leggendo il pionieristico volume di Moreno Tiziani "Professione antropologo" ho liberamente ricostruito un eptalogo attorno al quale incardinare un pensiero riflessivo, e un discorso concreto, sull’antropologia professionale:

- Meglio cominciare presto a pensare in ottica "professionale". Dal momento che il destino di ogni studente è, si spera, quello trasformarsi in lavoratore, meglio cominciare fin da subito a adottare un puntodi vista consapevole sulla propria traiettoria di "carriera". Da "studenti superiori" informarsi in maniera dettagliata di cosa offra e come sia organizzato il mondo universitario, da "studenti universitari" apprendere non solo contenuti da esame, ma anche abilità organizzative e di gestione del porprio tempo, capacità di sviluppare capitale sociale e relazionale, scambiando informazioni e partecipando ad esperienze formative diverse dai corsi di studio (convegni, workshop, Erasmus, volontariato, lavoro all’università convenzionato). Inoltre, curare la definizione di un piano di studi che sia sartoriale, tagliato su misura, e conduca verso un lavoro di tesi che appassioni, durante il quale si possa dare il meglio. La tesi di laurea, magari accompagnata da un periodo di ricerca e/o seguita da un tirocinio, è uno snodo fondamentale per le possibilità concrete che può aprire dal versante lavorativo. Riassumendo, una mentalità autonoma e attiva, curiosa e organizzata, fondamentale per qualsiasi professione, e ancora più per quella nascente di antropologo, andrebbe coltivata fin da ragazzi in una prospettiva di "crescita continua".

- Guardare all’estero. Sia per vedere cosa succede, per vedere le differenze con il proprio Paese, per provare ad andarci davvero a fare qualcosa. L’antropologia è per natura un sapere cosmopolita, e la professione necessità di una apertura mentale quanto più articolata e compiuta possibile. Per un antropologo avere un sentire cosmopolita è come per un commercialista essere preciso nei conti, per un medico essere scrupoloso nella diagnosi, per un filosofo avere proprietà di linguaggio: semplicemente indispensabile.

- Avere una conoscenza ampia del proprio ambito disciplinare. Come l’antropologia fisica-biologica non è un monolite, ma dialoga con settori, ambiti e prospettive conoscitive quali l’osteologia e la primatologia, la paletnologia come l’ecologia umana, l’antropologia molecolare come la bioarcheologia, l’antropologia culturale che "si occupa di cultura" e l’antropologia sociale che si "occupa di società" sono ormai degli stereotipi. Uno studente di antropologia dovrebbe conoscere, almeno per sommi capi, i principali settori sub-disciplinari, in quanto in ognuno di essi possono nascondersi delle prospettive fruttuose di applicazione, oltre che fornire intuizioni utili in campi affini: antropologia economica, antropologia ecologica, antropologia del lavoro, dell’impresa e dell’organizzazione, cyber-antropologia, antropologia medica, antropologia dello sviluppo, solo per citarne alcune di ben consolidate, andrebbero comprese e "possedute" nei loro caratteri fondamentali di linguaggi, modelli, problemi affrontati e autori di riferimento.

- Raccogliere informazioni inerenti le applicazioni dell’antropologia. Compaiono sempre più spessoarticoli di quotidiani e riviste specializzate dove la parolina "antropologia" o "etnografia" fanno capolino associate ai contesti più diversi: aziende, ricerca applicata, sviluppo tecnologico, evoluzione del web, servizi alla persona, ecc. Raccoglierli, analizzarli, fare ricerche di approfondimento sul web  aiuta a assimilare informazioni preziose per capire cosa fanno, gli altri, con l’antropologia, e fa sentire un po’ meno soli e isolati con le proprie "ambizioni applicative"

- Cominciare a farsi un’idea di quella precaria forma di vita che è il "consulente freelance". Ossia, verosimilmente, l’assetto professionale che l’antropologo potrebbe far proprio qualora decida di erogare prestazioni/servizi a committenti. Un’infarinatura di partite iva, casse di previdenza, fatture, ritenute d’acconto e burocrazia mista all’italiana non dovrebbero essere viste come cose che "riguardano sempre e solo gli altri". In quanto antropologi con ambizioni professionali, diventeranno il pane quotidiano per almeno qualche anno, se non per sempre. Anche quella della burocrazia, delle istituzioni, è una forma di cultura. L’antropologo dovrebbe muoversi a proprio agio al suo interno. L’antropologia della burocrazia èun ambito di consocenza prezioso per l’antropologo professionista.

- Pensare antropologicamente, cioè in maniera olistica e interdisciplinare. Moreno tratta con competenza, pur senza cadere in tecnicismi, della necessità di pensare in maniera antropologica integrata,senza ciò suddividere a priori l’antropologia biologica da quella culturale, sforzandosi di trovare delle prospettive che siano sinergiche e fruttuose. La prospettiva bioculturale è una possibilità ancora in gran parte sconosciuta nel nostro paese: pensiamo al rapporto tra cultura e emozioni, all’aggressività sociale, alle tecnologia della riproduzione, alle biotecnologie, alla bioeconomia, agli ibridi bio-neuro-tecnologici e alle frontiere da queste aperte dal punto di vista culturale, etico e sociale: perdere completamente di vistache l’uomo è un essere bioculturale non farà di noi dei migliori professionisti, qualsiasi sia l’ambito di attività.

- L’attività professionale contempla una profonda riflessione etica. L’antropologo professionista fa, giocoforza, antropologia pubblica, perché offre servizi che realizzano delle policy, cioè delle linee programmatiche, degli obiettivi da raggiungere volti a modificare la realtà sociale e pubblica. Obiettivi, procedure, attori in gioco, gradi di vulnerabilità differenti, rischi di generare effetti inopportuni, se non dannosi, accompagnano l’attività giornaliera di qualsiasi professionsta. L’antropologo, lavorando in contesticomplessi, a volte conflittuali, dove l’elemento umano è sempre preponderante e esposto ad un campo di forze variabile, necessità di precise linee guida etiche. L’antropologo professionista lavora nella società, e costruisce la propria ragion d’essere su credibilità, correttezza, professionalità. Senza etica professionale non esiste alcuna professione.Queste sono solo alcune semplici riflessioni che si possono articolare leggendo il bel libro di Moreno. Moltissimi altri dettagli e spunti fondamentali si trovano tra gli agili paragrafi, e costituiscono una base di lavoro di gran qualità per continuare a pensare, concretamente e nel merito, le potenzialità della professione di antropologo. Importanti gli esempi pratici di applicazione che vengono descritti nel libro, senza tralasciare alcun ambito di intervento.

Antrocom Onlus sez. Veneto 

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