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Le foreste della mente

Le foreste della mente

Come afferma Gregory Bateson in Mind and Nature, la conoscenza umana è solo una piccola parte di un più ampio conoscere integrato, la Mente Naturale, “un tessuto connettivo universale che tiene unita l’intera biosfera”. È per questo – sostiene Marco Paci ne Le Foreste della mente (Edizioni Altravista) – che le foreste rappresentano una risorsa in termini non solo finanziari, biologici o idrogeologici, ma anche culturali.

Il libro di Marco Paci affronta l’influenza delle foreste nei confronti della mente umana attraverso un duplice percorso. La prima parte propone le foreste come maestre di vita (Quello che le foreste insegnano): l’idea di fondo è che l’osservazione dei meccanismi della natura possa essere il punto di partenza per un’educazione sociale. La dinamica delle foreste ci insegna, a esempio, che nel percorso della vegetazione non esiste un punto d’arrivo definitivo ma una continua e faticosa ricerca di equilibri, che spesso si raggiungono in maniera traumatica, ogni volta “imparando” dal disturbo, adeguando cioè forme e meccanismi alle nuove condizioni che si sono create.Le foreste, soprattutto, ci spingono a sognare un mondo migliore rispetto a quello in cui viviamo. E qui inizia la seconda e più corposa parte del testo (Quello che le foreste suggeriscono), dedicata alla dimensione immaginaria. Con un viaggio nelle testimonianze del passato (le fonti sono soprattutto letterarie, ma non mancano riferimenti pittorici e architettonici, per non parlare delle tradizioni dei popoli nativi di foreste) si scoprirà che le selve scatenano le nostre fantasie.

È noto che i boschi sono da sempre luoghi di suggestione e di incanto, templi di sacralità dove l’uomo riscopre la propria identità nel rapporto più intimo con la natura e con Dio. Ma non è tutto qui. Leggendo il libro di Paci si scoprirà che le foreste sono da sempre rifugio della giustizia, in alternativa alle leggi, spesso inique, concepite nelle città. Che le società più ciniche, materialiste e ipocrite – soprattutto quelle in cui il profitto economico prende il sopravvento sui valori umani e su quelli naturali – da sempre producono anticorpi che trovano sponda proprio nelle foreste. Che perfino la caccia può avere una sacralità, quando assume il significato di un rito con cui l’uomo comprende la propria identità in rapporto alla natura. Che la foresta è “femmina”, al punto che le epoche storiche più aggressive nei confronti delle foreste sono state anche quelle più violente verso le donne. Che nella foresta de La Verna San Francesco si ispirava, otto secoli fa, a modelli gestionali molto vicini a quelli che oggi rientrano nell’ambito della “selvicoltura naturalistica”. Che le foreste sono contenitori di un patrimonio immaginifico che rischia di scomparire assieme agli ecosistemi che lo ospitano: il danno provocato dalle deforestazioni nella fascia tropicale andrebbe valutato in termini non solo ecologici, ma anche culturali.

La grande lezione che ci impartiscono oggi le foreste è che il sogno di Gilgamesh (pretendere di conquistare l’onnipotenza a spese delle foreste) è destinato all’insuccesso.

Le Foreste della mente è in ultima analisi un atto d’amore nei confronti di un patrimonio che ci riempie di nostalgia, un paradiso perduto in cui si prova ristoro a rifugiarsi.

 

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